Fotografare non è un semplice gesto meccanico bensì un percorso… o almeno così è stato per me.
Intorno ai 9 anni (non ricordo di preciso) ogni volta che guardavo le fotografie, mi emozionavo.
Mi rendevo conto, grazie a queste immagini stampate, della velocità del trascorrere del tempo, di quanto ogni giorno cambiavo, mese per mese. Ma soprattutto se non avessi avuto le fotografie non avrei ricordato con facilità certi momenti che sarebbero forse dimenticati per sempre. Da subito perciò mi innamorai della bellezza e della potenza che ha la fotografia: FERMARE IL TEMPO, DIPINGERE I RICORDI.
Per una come me che aveva paura di dimenticarsi ciò che di bello stava vivendo diventò da subito uno strumento fantastico!
La macchina fotografica era oggetto fondamentale, non potevo non averla con me. Fotografavo la mia quotidianità, le mie giornate di bambina. Iniziai chiaramente con l’analogica e scattavo di continuo, persino foto ai miei adorati bambolotti! Non potete immaginare quante volte venivo ripresa da mio Padre che, disperato, ogni volta che tornava dopo aver sviluppato le foto mi chiedeva di limitare gli scatti alle bambole!
Successivamente, con l’avvento della fotografia digitale, per la mia prima comunione chiesi in regalo una macchina compatta. Non esisteva più il problema della “limitazione” degli scatti ma le mie amiche cominciarono a schernirmi dicendomi che ero più compulsiva di un turista giapponese!
Un po’ questo giudizio mi infastidiva: si, sono permalosa, ma il vero problema stava nel fatto che non comprendessero il perché lo facessi e il valore che con il passare del tempo potessero acquistare quegli scatti. Era come fissare nel tempo, il tempo stesso.
Oggi, riguardiamo spesso quelle foto e ridiamo forte insieme ricordandoci dei momenti passati insieme: son contenta di esser stata ostinata nel produrre quegli scatti a costo di passare per una rompiscatole compulsiva!